Triathlon medio di Lovere: i consigli di RacePlan

Il triathlon medio di Lovere è senza dubbio una delle gare più importanti del calendario FITRI. Nasce nel 2014 sotto l’organizzazione ECO RACE EVENTS Srl, già organizzatrice di diverse gare di triathlon del panorama italiano, e a partire dal 2015 è valevole per l’assegnazione dei titoli di campione italiano assoluto, age group e di squadra. A partire dall’edizione 2016 la gara si svolge nella prima domenica di Giugno. La data dell’edizione 2019 è domenica 2 giugno.

LOVERE E IL LAGO D’ISEO

Lovere si trova in Lombardia, in provincia di Brescia, nella punta settentrionale del lago di Iseo. E’ un piccolo paese di circa 5000 abitanti, attorniato da alte montagne pre-alpine. Può vantare una bellissima passeggiata lungo-lago con numerosi negozi, bar e ristoranti, ideale per le famiglie e per godersi un pò di relax pre e post gara.
Quest’anno Lovere sarà una delle città di partenza di tappa del Giro d’Italia 2019, nella difficile giornata Lovere – Ponte di Legno nella quale i ciclisti dovranno affrontare le temutissime salite di Gavia e Mortirolo.

Veduta aerea di Lovere

COME RAGGIUNGERE LOVERE

L’autostrada di riferimento è la A4 nel tratto Milano-Brescia. Le uscite consigliate sono quelle di Ponte Oglio e Palazzolo per chi proviene da Milano oppure quella di Brescia Ovest per chi proviene da Venezia.
Per chi esce a Ponte Oglio / Palazzolo si proseguirà su strade provinciali fino al lago di Iseo in località Sarnico. Da qui si proseguirà sulla SP469 (che fa parte del percorso bike nel tratto Lovere-Sarnico) per circa 25km fino a raggiungere Lovere. La strada è molto panoramica, proprio a ridosso del lago. Occorre fare però attenzione in particolar modo agli ultimi 5-10km, dove la strada si fa più stretta e in alcuni tratti l’incrocio fra veicoli di medio grandi dimensioni (camper, furgoni,…) può essere difficoltoso e pericoloso.
La strada è invece più veloce e larga per chi sceglie l’uscita di Brescia Ovest. In questo caso si proseguirà seguendo le indicazioni per Iseo e da qui, tramite la SP510, si raggiungerà Lovere dopo circa 30km.

DOVE DORMIRE?

La partenza della gara alle ore 8 rende quasi obbligatorio per gli atleti almeno un pernotto.
Purtroppo Lovere non ha molti hotel e la maggior parte di essi non è a buon mercato (sono ottimi hotel, che giustamente si fanno pagare la qualità del servizio e la location vista lago che è sicuramente apprezzabile). Muovendosi con buon anticipo, tuttavia, si possono trovare interessanti soluzioni a un budget accettabile (80-120 euro a camera a notte), alcune di esse proprio nel centro del paese e quindi con tutti i luoghi principali a pochi minuti di passeggiata.
Fra i miei siti web preferiti per la ricerca di appartamenti e hotel ci sono ovviamente i soliti noti: www.booking.com, www.trivago.it e www.airbnb.it.
Le cose si complicano all’avvicinarsi della data dell’evento: la gara porta a Lovere circa 800-1000 atleti e quel che rimane di disponibile è spesso molto costoso oppure non vicinissimo al paese.
Questo tuttavia non rappresenta un problema insormontabile: certo… dormire a poche centinaia di metri dalla zona cambio offre tanti vantaggi, ma anche una soluzione a 10-15km da Lovere potrebbe tutto sommato essere abbastanza comoda. Il mattino della gara le strade all’alba solo praticamente deserte e bastano una decina di minuti per raggiungere il paese.

ECORACE EVENTS SRL

EcoRace Events Srl, con sede a Bergamo, è una società che ormai da diversi anni si occupa di organizzazione di eventi sportivi nel mondo del triathlon. I loro eventi sono geolocalizzati prevalentamente in regione Lombardia e la qualità del suo operato è stata premiata dalla federazione italiana triathlon con l’assegnazione, da ormai diversi anni, di ben due titoli di campionati italiani: il campionato assoluto e age group di triathlon medio (a Lovere) e il campionato italiano age group di triathlon olimpico (a Iseo, in programma a inizio luglio). A parte queste due gare, a aprile sono stati gli organizzatori dei triathlon sprint e olimpico di Milano, nella suggestiva location dell’Idroscalo.

LA GARA

1.9km di nuoto nelle acque del lago di Iseo.
85km in bici sulla strada costiera fra Lovere e Sarnico con una salita (Parzanica) da ripetere due volte per un totale di circa 1000mt di dislivello.
21km di corsa in un multilap all’interno del paese.
Ma andiamo con ordine.
Il nuoto avviene con partenza dall’acqua davanti al pontile del porto turistico di Lovere e si gira in senso orario (le boe vanno tutte tenute sulla destra). Si va in direzione nord per circa 800mt, poi 200mt di “traverso” e infine il ritorno tutto dritto per gli ultimi 800-900mt. Le boe sono ben visibili e generalmente il lago a quell’ora del mattino, in condizioni climatiche normali, è piuttosto calmo e facile da nuotare. L’uscita dal lago avviene dallo scivolo di rimessaggio delle imbarcazioni che viene ricoperto da un tappeto antisciolo e i volontari aiutano gli atleti in questa fase. Siamo a inizio giugno, quindi l’acqua è generalmente fresca ma tutto sommato gradevole. Muta sempre consentita: a inizio giugno le temperature dell’acqua si aggirano intorno ai 14-16 gradi.
Terminati i 1900mt di nuoto si corre in zona cambio, posta a circa 200mt dal lago. Il tragitto è breve ma è tutto in leggera salita.
Il percorso bike, come detto, è lungo poco meno di 90km con una salita (da 5.5km) da ripetere due volte per un dislivello complessivo di circa 1000mt. La strada è interamente chiusa al traffico e ben presidiata dai volontari. Nel totale gli atleti dovranno dunque affrontare circa 60-63km di lungo lago tendenzialmente pianeggiante o dolcemente vallonato, 11km di salita e altrettanti di discesa (si sale e si scende dalla stessa strada, quindi è assolutamente OBBLIGATORIO stare molto attenti e restare all’interno della propria corsia).

Dettaglio altimetrico Parzanica (clicca per ingrandire)

La salita è abbastanza impegnativa. E’ caratterizzata da numerosi tornanti che portano gli atleti quasi a 600mt di quota con una pendenza piuttosto regolare del 7-8% con alcune punte al 9-10%.
L’asfalto è generalmente tutto buono. Solo in alcuni tratti, nei pressi della località di Tavernola Bergamasca, ci sono alcuni tratti un pò più rovinati.
Occorre prestare la massima attenzione nei tratti all’interno delle gallerie che caratterizzano il percorso e che si trovano nei km di strada più vicini a Lovere: si tratta di gallerie piuttosto buie e gli occhiali con le lenti scure potrebbero nascondere ostacoli sul percorso (come altri ciclisti che vi stanno precedendo).
I 21km di corsa finale hanno come teatro il lungo lago di Lovere, quindi proprio nel cuore del paese. Si parte ovviamente dalla zona cambio e si raggiunge il giro di boa posto a circa 2km più a nord. Si torna indietro lungo la stessa strada e si ripete il tutto per 5 giri. In linea di massima il percorso è tutto pianeggiante ad eccezione di una breve salitella nei pressi della zona cambio. Sono due le stazioni di ristoro per ogni giro, in aggiunta a una terza stazione di spugnaggio.
A fine gara, nel raggio di 50mt dall’arrivo ci sono tutti i servizi necessari all’atleta: ristoro, pasta party, deposito borse e docce (negli spogliatoi del circolo nautico).

CONCLUSIONI

Il triathlon medio di Lovere è una delle mie gare preferite in veste di atleta, ma trova ampi consensi anche da tutta la mia famiglia che apprezza particolarmente il clima che si respira in questa bella cittadina di lago.
Ho partecipato a diverse gare dei brand internazionali più prestigiosi e trovo che, ad eccezione dei “fronzoli” in grande stile tipici di Challenge ma soprattutto Ironman, il triathlon di Lovere non abbia nulla da invidiare in termini di location, percorsi e organizzazione in generale. Il tutto per una quota di iscrizione che è ridotta a un terzo rispetto all’iscrizione delle gare brandizzate sopra citate!
Il 19 maggo 2019 scadono i termini delle iscrizioni per questa edizione: non perdere tempo!!

Challenge Riccione, i feedback degli atleti

La tre giorni di Riccione è volta al termine. Rimini/Riccione si conferma un classico di inizio maggio del triathlon italiano, non solo per quanto riguarda la distanza di medio (che rappresenta l’evento principale del weekend e che vede coinvolti i più forti atleti italiani e europei), ma anche per il triathlon sprint e per le gare di duathlon riservate agli atleti più giovani. I ragazzi del Cesena Triathlon che hanno partecipato all’edizione 2019 si sono prestati ad una intervista per valutare la gara e condividere con altri atleti le esperienze vissute. Sono state poste domande precise e dirette e qui sotto trovate il riepilogo delle loro risposte.

La gara ti è piaciuta?

La gara nel complesso è apprezzata da molti atleti. CHALLENGE RICCIONE è ormai una gara ben rodata a livello organizzativo (sono passate ormai 7 edizioni dalla prima volta del circuito Challenge in terra riminese) e la Romagna ha sempre dimostrato che ben si presta ad un evento del genere. Molti degli atleti hanno apprezzato il nuovo percorso bike che si svolge su due giri e che presenta un dislivello leggermente inferiore rispetto a quello che è stato adottato a partire dalla prima edizione del 2013. Unanime è stato invece l’apprezzamento del percorso run, con il multilap all’interno delle vie principali di Riccione (viale Ceccarini e viale Dante) che spezza la monotonia di una corsa interamente svolta sul lungo mare. Giudizio finale quindi decisamente positivo, per una gara che sicuramente in molti vorranno rifare nei prossimi anni. Una gara che, alla luce delle impervie condizioni del meteo che hanno caratterizzato questa edizione, magicamente si è trasformata nell’essenza vera della sfida contro se stessi: l’atleta non pensa più al tempo della performance, ma punta a finirla con tutte le forze fisiche e mentali che in quel momento ha a disposizione.

Rapporto qualità/prezzo

Le cifre che si spendono nelle gare di questi circuiti internazionali sono sempre importanti, ma considerata la portata dell’organizzazione di un evento simile emerge che il rapporto in generale appare congruo. Il circuito Challenge costa indicativamente 100 euro in meno rispetto alle gare di pari distanza del circuito Ironman, per una qualità organizzativa che non appare troppo inferiore. Inoltre, se ci si iscrive con largo anticipo si può usufruire di tariffe scontate ancora più vantaggiose. Si può dire quindi che i servizi offerti sono di alto livello, ma che il prezzo è probabilmente un pò elevato.

Ristori in gara e pasta party finale

I ristori in gara erano ben forniti: acqua e sali minerali serviti direttamente in borraccia, e poi coca cola, tè, frutta, brioches, barrette… insomma davvero di tutto davvero. Alcuni atleti ci hanno riferito una bassa qualità nel ristoro finale post gara e nel pasta party che a quanto pare non era ben segnalato e con personale un po’ troppo sbrigativo.

 Organizzazione dell’evento

La disposizione delle aree è risultata ben organizzata. I servizi sono tutti concentrati in pochi punti, vicini fra loro e facilmente accessibili: docce, deposito borse, pasta party, partenza, villaggio expo ecc… Sul percorso sono stati notati numerosi addetti al traffico che presidiavano gli incroci (chiusura perfetta delle strade lungo il percorso bike) e nei ristori c’erano diversi volontari che in strada distribuivano bevande e barrette in modo tale che gli atleti avessero la possibilità di proseguire nella loro prestazione senza perdere tempo. Segreteria di gara gentile e competente. Ottima e comprensiva dato il meteo non favorevole (sacche in zona cambi x non far bagnare gli indumenti).

Partecipazione del pubblico

La giornata è stata davvero climaticamente pessima e il percorso bike era, come prevedibile in queste condizioni, quasi deserto. Sul percorso run invece c’era molto pubblico che incitava i partecipanti e diverse postazioni musicali che davano una carica davvero esaltante e motivante. Nel complesso il tifo nel percorso run è stato strepitoso nonostante una pioggia battente ed un vento gelido. La nostra piccola Roth.

Parcheggio

E’ presente un ampio parcheggio nei pressi dell’area di gara, tutto su un campo sterrato. Nelle sfortunate condizioni di pioggia di questa edizione 2019 non è stato il massimo con comfort (fango), ma si tratta comunque di un parcheggio davvero capiente e molto comodo perché vicinissimo alla zona cambio. Parcheggio congruo al numero degli iscritti e servizio d’ordine perfetto e sicuro.

Percorsi di gara

Frazione NUOTO, 1900mt: Prevede un percorso a rettangolo: dopo un primo allontanamento da riva ci si dirige paralleli alla spiaggia direzione Rimini per poi virare a sinistra verso la spiaggia e virare nuovamente a sinistra per tornare paralleli alla costa. Raggiunta l’ultima boa si svolta a destra per imboccare finalmente il canale di uscita. Il mare di questa edizione presentava poca corrente e poca onda, che quindi non creava particolari problemi. Date le condizioni meteo e il periodo dell’anno, l’acqua era particolarmente fredda specialmente al primo impatto. Molto rassicurante la presenza massiccia di soccorritori.

Frazione BIKE, 90km: Tendenzialmente un percorso veloce ed impegnativo allo stesso tempo, tra bellissimi scorci di Romagna che fai fatica a non portarti a casa il giorno dopo. Asfalto perfetto, anche grazie al passaggio del Giro D’Italia 2019 che andrà in scena in questi giorni proprio su queste strade. Dopo un primo passaggio all’interno di Riccione ci si inoltra nell’entroterra collinare. Il percorso è interamente immerso nel verde, in leggerissima salita verso il paese di Faetano (San Marino) che si trova a quota 270mt slm. L’arrivo in paese prevede una salita di 1,5 Km con pendenza del 4% 5% e qualche tornante, quindi piuttosto pedalabile e non molto impegnativa. Il giro di boa è dentro il paese (dove è anche collocato il ristoro) e a seguire si ritorna in direzione “mare”. Prima di arrivare alla periferia di Riccione c’è una deviazione verso Coriano, posto in cima ad una collina panoramica (denominata “Il Balcone”) che presenta una salita corta (400 metri) ma con pendenze superiori al 10-12%. Scesi da Coriano si ripete nuovamente lo stesso percorso verso Faetano e, dopo l’ultima risalita a Coriano, si rientra a Riccione verso il T2.

Veduta del paese di Coriano

Frazione RUN, 21km: Il percorso run è veloce, in pieno centro di Riccione, sotto gli occhi di tutti. Indubbiamente un percorso scenografico e ben pensato. Si transita dai luoghi più famosi della cittadina romagnola (Lungomare pedonale, Piazzale Roma, Viale Dante, Viale Ceccarini,…) che sono tutti addobbati a festa per accogliere al meglio gli atleti in gara. Il percorso da 7km è da ripetere 3 volte. Ad ogni giro si può usufruire di due ristori ben forniti.

Passaggio run da Viale Ceccarini

Aspetti negativi e suggerimenti

Viste le condizioni meteo, alcuni atleti intervistati avrebbero gradito che venisse accorciato il percorso bike eliminando il passaggio a Coriano, poiché la discesa era particolarmente ripida e scivolosa e in quel tratto infatti numerosi atleti sono caduti e soccorsi dai sanitari presenti. Il ristoro all’arrivo è risultato poco rifornito (stiamo parlando di age group di medio livello, quindi rappresentativo di una larga schiera di atleti. Forse i PRO o gli age group più forti hanno trovato il ristoro finale meglio rifornito?) Il suggerimento principale che viene fatto è che sarebbe comodo concepire la zona cambio come avviene nelle gare a marchio Ironman, ovvero con le tende di cambio e con le sacche specifiche delle 3 frazioni per dare maggiore ordine e pulizia nei pressi della bicicletta e per far si che gli indumenti o scarpe rimangano asciutti in caso di maltempo. Infine, 40 euro per il servizio fotografico (composto da 15-20 foto, per lo più tutte uguali fra loro) sono risultati eccessivi e quasi nessuno ha mostrato interesse all’acquisto.

Analisi della preparazione atletica attraverso la bioimpedenza vettoriale

L’allenamento sportivo, quando strutturato in modo corretto, ha lo scopo di alterare l’omeostasi organica dell’atleta al fine di ottenere degli adattamenti che ne migliorino la prestazione. Scendendo nel dettaglio possiamo affermare che l’allenamento è un mezzo per provocare un segnale cellulare che determina una risposta probabilisticamente prevedibile. Detto in parole più semplici ci si aspetta che un certo tipo di allenamento produca una risposta cellulare di adattamento che a livello macroscopico si traduce in un miglioramento di una specifica qualità. Sappiamo infatti che, con buona probabilità, se un atleta si allena in palestra sollevando dei carichi superiori all’85% del proprio massimale (1 RM), con un congruo numero di serie e un recupero adeguato tra le serie, aumenterà la forza massimale. Allo stesso modo l’esperienza ci insegna che facendo fare delle ripetute sui 400m ad un podista, migliorerà la velocità di corsa.

La scienza dello sport, in particolare la metodologia dell’allenamento, studia il modo migliore per correlare un certo tipo di allenamento ad un risultato atteso. Storicamente gli allenamenti erano strutturati tenendo conto della prestazione di gara ed apportando degli aggiustamenti che avessero un senso “logico” con il tipo di prestazione.

Se prendiamo ad esempio l’allenamento per la maratona si è partiti dall’osservazione che la gara ha una certa durata e si sono “pensati” una serie di allenamenti che potessero permettere di correre per lungo tempo e di aumentare la velocità di base. Sono nati in questo modo gli allenamenti di fondo estensivo e le ripetute a ritmo gara o più veloce del ritmo gara.

La metodologia dell’allenamento era prevalentemente basata sull’osservazione e sull’intuizione fatta dagli allenatori, ma in realtà nulla si sapeva di cosa davvero accadesse all’interno dell’organismo.

L’avanzamento delle scienze biologiche come fisiologia, biochimica e biomeccanica, ha permesso di andare ad indagare cosa, a livello cellulare o fisiologico, provoca un certo allenamento. La conseguenza immediata, una volta svelato il meccanismo sotteso, è stata di elaborare nuove metodologie per poi sperimentarle sul campo. Questo è il motivo per cui oggi, diversamente dal passato, i maratoneti ed i ciclisti si allenano in palestra con i pesi, fanno allenamenti ad alta intensità su distanze brevi e curano gli aspetti cognitivi e biomeccanici.

L’allenamento sportivo moderno ha abbracciato il concetto di “funzionale”, si ragiona in termini di adattamenti che possono essere indotti da stimoli che apparentemente non hanno nulla in comune con la disciplina in cui si compete.

Un altro campo di notevole interesse nelle scienze dello sport è la misura del carico allenante e dello stress tollerabile dall’organismo. Ogni allenamento è uno stress che il nostro organismo deve fronteggiare.

Secondo la general adaptation syndrome (GAS) di Seyle l’organismo, quando lo stimolo non supera la capacità di risposta, produce degli adattamenti che aumentano la tollerabilità verso situazioni simili. E’ questo progressivo aumento di tollerabilità che permette di fare allenamenti sempre più intensi e di migliorare la prestazione sportiva.

I ricercatori hanno cercato nel tempo di riuscire a quantificare la capacità soggettiva di sopportare il carico allenante poiché, quando esso supera per un certo periodo di tempo, la capacità di adattamento organico e si incorre in un fenomeno noto come “overtraining”, ovvero una condizione debilitante che affligge l’atleta dal punto di vista endocrinologico e prestativo.

A tale scopo sono stati proposti diversi strumenti sia di carattere psicometrico (RPE, POMS) che fisiologico (TRIMP, HRV, misurazione del cortisolo salivare, ecc..). Una metodica che sembra essere molto promettente è quella della valutazione vettoriale della composizione corporea (BIVA) attraverso bioimpedenza.

Senza entrare nei dettagli tecnici della metodica, quello che interessa sapere è che il nostro corpo è composto da

  • comparti che conducono l’elettricità (fluidi extracellulari)
  • comparti che si comportano come condensatori, che quindi presentano un certo ritardo nella conduzione elettrica (le cellule)
  • comparti che non sono conduttori (gli adipociti).

Lo strumento utilizzato, inducendo una corrente elettrica attraverso il corpo, è in grado di misurare la distribuzione dell’acqua corporea e quindi valutare la massa non grassa del corpo: la free fat mass (FFM). In particolare si può rapportare la resistenza con la reattanza, ovvero dove la corrente passa facilmente (come nella parte extra cellulare) e dove invece ha un ritardo (come nelle cellule).

Quello che risulta è un vettore che viene espresso attraverso un angolo sul grafico resistenza-reattanza, avente un certo modulo. In pratica abbiamo un segmento su un grafico più o meno appiattito sull’asse delle ascisse e più o meno lungo.

La lettura di questo grafico fornisce all’esperto informazioni molto importanti sullo stato di adattamento muscolare, in particolare sul grado di lisi delle miocellule causata da un certo allenamento. Quando eseguiamo un allenamento, infatti, si ha una lesione delle cellule muscolari che riversano il loro contenuto, il citoplasma, esternamente. Questo fa aumentare la componente liquida extracellulare che sarà rilevata dal bioimpedenziometro ed evidenziata come una diminuzione e accorciamento dell’angolo del vettore (angolo di fase). Tale metodica consente quindi di seguire lo stato di recupero muscolare di un atleta e programmare gli allenamenti sulla base di un dato fisiologico reale.

Oltre a questo è possibile valutare, sul lungo termine, la qualità di una preparazione atletica e di un intervento nutrizionale. La bioimpedenza, infatti, fornisce delle stime sulla qualità cellulare o massa cellulare corporea (BCM). La massa cellulare corporea fornisce un’indicazione del comparto metabolicamente attivo del nostro corpo indicando l’evoluzione (o involuzione) di un programma di allenamento e/o di nutrizione. La rilevazione costante della BIVA permette di monitorare con accuratezza lo stato metabolico dell’atleta permettendo di intervenire opportunamente nella pianificazione degli allenamenti e del supporto nutrizionale.

Un esempio di applicazione della BIVA è riportata nelle immagini sottostanti, relative ad un atleta master, Danese Marcello, detentore del record del mondo della 24 ore su strada.

La prima immagine mostra l’effetto di tre giorni di carico. La stellina in alto è la misurzione fatta in condizioni basali di recupero, mentre il triangolino in basso è relativo ad una rilevazione fatta il giorno successivo all’ultimo allenamento di carico.

Come si può notare c’è un accorciamento ed una diminuzione dell’angolo di fase. Seppur non statisticamente significative per valori così bassi, la seconda immagine evidenzia delle stime coerenti con la misurazione del vettore, in particolare si nota come la BCM e l’angolo di fase siano diminuti dopo gli allenamenti di carico.

L’esame è stato ripetuto dopo quattro giorni in cui è stato inserito un solo allenamento di qualità. E’ possibile notare come i parametri si siano riportati a livello basale con un, seppur non statisticamente significativo, miglioramento della BCM, ad indicanre un aumento della massa cellulare ed un recupero avvenuto.

Il confronto con le prestazioni dell’atleta e le sensazioni soggettive, chieste prima della valutazione, collimano con i dati strumentali, confermando il valore dell BIVA quale strumento di controllo dell’allenamento. Nel caso specifico l’atleta ha seguito un protocollo nutrizionale ciclico, con lo scopo di ottenere una ricomposizione corporea che portasse alla riduzione della massa grassa in favore della magra.

E’ noto quanto sia difficile diminuire la massa grassa in fase di carico senza incidere anche sulla massa magra, ma come mostra questo singolo caso la scelta del corretto protocollo nutrizionale coordinato con gli allenamenti permette di ottenere ottimi risultati sulla ricomposizione corporea senza compromettere la prestazione.

Ironman Emilia Romagna, tutto quello che devi sapere sul territorio

Nel 2019 andrà in scena la terza edizione dell’Ironman Emilia Romagna a Cervia. Quello che segue è un articolo scritto da un triatleta romagnolo, nato e cresciuto a due passi da Cervia, che mi auguro possa essere utile a tutti i triatleti che non conoscono cosi bene questa terra. Come arrivare? Dove dormire? Dove mangiare? Come sono i percorsi di gara? Trovate qui tutte le risposte.

La Romagna e lo sport

Cervia, e più in generale tutta la Romagna, offrono probabilmente la più vasta e eterogenea offerta turistica costiera che l’Italia possa avere. Cerchi una località di mare tranquilla adatta alle famiglie? Cerchi una località di mare alla moda e vivace, adatta al popolo giovani e dei locali notturni? Cerchi una località di mare ricca di storia? Cerchi una località di mare con una cucina tipica rinomata in tutto il mondo? Cerchi ospitalità e un clima familiare? A Cervia trovi tutto questo, e nel corso degli ultimi decenni è cresciuta tantissimo anche l’offerta dedicata al mondo degli sportivi.

A maggio 2019 si correrà la 23esima edizione della Granfondo del Sale (con i suoi 170km e 2400mt di dislivello) che, assieme a altre famosissime granfondo romagnole come la Davide Cassani di Faenza e, ovviamente assieme alla regina Nove Colli di Cesenatico, rendono il territorio appetibile ai quasi 100.000 atleti italiani tesserati con le federazioni ciclitiche e triathlon (oltre a un numero elevatissimo di atleti stranieri).

Parlando di podismo, oltre alle tante gare su distanze fino ai 21km, gli eventi principali sono senza dubbio le maratone di Rimini, Ravenna e Cesenatico. Ma anche gli ultramaratoneti troveranno interessante questa terra, con la storica 100km del Passatore che parte da Firenze e arriva a Faenza e con la massacrante Nove Colli Running da 200km.

L’Ironman sbarca a Cervia

Il 23 settembre 2017 alle ore 7.30 dalla spiaggia libera di Cervia viene dato lo start al primo evento Ironman sulla distanza canonica dei 3.8km – 180km – 42km in Italia. Era una data attesa da tantissima gente. Ovviamente dai triatleti iscritti alla gara e dagli organizzatori, ma non solo.

C’era tutta la popolazione del territorio, compresa parte delle amministrazioni comunali, che non aveva la minima idea di cosa fosse un Ironman e sui vari social negli ultimi 15 giorni, quando forse un pò tardivamente ci si è resi conto dei blocchi stradali per tutta la giornata, ricordo che si scatenò un vero e proprio l’inferno. I pochi non addetti ai lavori che avevano visto solo le edizioni del Triathlon Sprint Cervia si chiedevano quale fosse il motivo di chiudere tutto il lungomare per l’intera settimana dell’evento e il motivo della chiusura al traffico per cosi tante ore delle strade di Cervia-Milano Marittima (oltre che delle strade dei 180km bike fino a Bertinoro) nel giorno della gara.

Io quel giorno ero uno degli atleti in gara e, nonostante la fatica, stavo notando qualcosa di stranamente piacevole e imprevisto. Ero appena partito per i 180km del percorso bike e dopo appena 5-6km siamo transitati da una località che forse subiva, oggettivamente, i disagi maggiori data la scarsità di vie d’uscita per la popolazione locale. Eppure c’era non poca gente lungo la strada in un clima festoso a fare il tifo! E da li in poi è stato un crescendo di tifo in ogni località attraversata: gli abitanti di Santa Maria Nuova, Forlimpopoli e Bertinoro hanno regalato a noi atleti un calore davvero non atteso. Anche sul percorso run il calore del pubblico è stato oltre ogni aspettativa, e se in zona Cervia ce lo potevamo attendere data la presenza dei familiari degli atleti in gara, nelle zone un pò più lontane come Milano Marittima questo tifo era un pò più difficile da prevedere.

Nei giorni seguenti a quel 23 settembre, la risposta della popolazione sui social era diametralmente opposta a quanto manifestato prima del 23 settembre e tantissima gente comune, oltre a ringraziare gli atleti e gli organizzatori per lo spettacolo offerto, già si chiedeva la data dell’edizione 2018 e la speranza di avere questo evento a Cervia per ancora tanti anni.

Se per l’edizione 2017 il popolo romagnolo si era dimostrato non del tutto preparato all’evento, nell’edizione 2018 sono venute fuori tutte le nostre capacità di accoglienza turistica. Sui social nessuno si è lamentato; gli hotel hanno offerto pacchetti studiati ad-hoc per i triatleti proponendo parcheggi bici custoditi, pacchetti benessere wellness per il relax pre-gara e colazioni al mattino presto il giorno della gara; i ristoranti e addirittura gelaterie hanno incluso nei loro menu alcune voci studiate apposta per l’occasione (ricordo ancora il gelato gusto “Ironman” di una gelateria nei pressi dell’arrivo); tanta gente della zona si è organizzata per fare tutto il possibile per essere all’alba in spiaggia, sentire suonare l’inno italiano e vivere le emozioni della partenza di questa gara.

Ironman Emilia Romagna ha avuto anche, bisogna dirlo, la fortuna di godere di un clima davvero ottimo nel weekend di gara di entrambe le edizioni. Mare piatto e trasparente, poco vento (e su questo percorso bike generalmente il vento è una costante) e una temperatura dell’aria gradevolissima sia al mattino presto che nelle ore centrali del giorno.

La frazione di nuoto – il mare di Cervia

Cervia non ha la fortuna di avere una bella reputazione relativa al suo mare e probabilmente, se fossi nei panni del turista medio che arriva in riviera per il suo soggiorno di 10-15 giorni nei mesi centrali dell’estate, potrei pensarla allo stesso modo. Le calde (a volte caldissime) giornate di luglio e agosto e il fondale basso e sabbioso causano un innalzamento della temperatura dell’acqua che spesso è causa della fioritura delle poco piacevoli alghe e mucillagini (specialmente nel pomeriggio, quando si verificano le temperature più alte della giornata). Inoltre, l’elevato numero di turisti, causa un intorbidimento del mare a causa del fondale costituito da sabbia molto fine e quindi facilmente sollevabile. Vogliamo evidenziare, però, che tutto ciò non è assolutamente sinonimo di acque inquinate e la bandiera blu che ormai da molti anni viene attribuita da Lega Ambiente a queste zone ne è la prova.

Ma se fino a ora abbiamo parlato del mare che è conosciuto dai turisti estivi, in realtà noi “locali” abbiamo la fortuna di vivere il nostro mare in tutti i periodi dell’anno e vi garantisco che da settembre a giugno il mare è di tutt’altro livello. A fine settembre le temperature si sono abbassate quel tanto che basta per ripulire il mare dalle fioriture di alghe e l’acqua diventa incredibilmente trasparente, specialmente nelle prime ore del mattino. Nelle prime due edizioni di Ironman (2017 e 2018), la fortuna di aver goduto di giornate di sole e con vento pressochè assente ha regalato frazioni di nuoto spettacolari, con un mare talmente piatto e trasparente. Talmente trasparente che l’edizione 2018 è stata resa ancora più “frizzante” anche per una indimenticabile nuotata da 3.8km in una enorme vasca marina piena di meduse belle grandi (ma per fortuna generalmente poco o nulla urticanti).

Ricordo, per concludere, che il fondale nei pressi della riva è molto basso e quindi si può tranquillamente camminare/correre nei primi e negli ultimi 30-50mt.

La frazione ciclistica – Bertinoro, prima salita del ciclista romagnolo

Bertinoro, pur essendo una salita tutt’altro che difficile, è una di quelle salite che ogni ciclista della zona scalerà mille volte. E’ la prima salita che un neofita ciclista romagnolo tenterà di scalare; è la prima salita della Nove Colli, che ogni ciclista deve fare almeno una volta nella vita; è, inevitabilmente, la salita dell’Ironman Emilia Romagna. A differenza del tracciato della Nove Colli, quello dell’Ironman è leggermente diverso e sicuramente da non sottovalutare.

Dopo aver superato il centro storico di Forlimpopoli con un affascinante e caloroso passaggio dalla piazza principale, si prende Via Armando Diaz e si prosegue per circa 1km. Si svolta quindi a sinistra imboccando via Ausa Vecchia, una stretta strada di campagna che è stata perfettamente riasfaltata proprio pochi giorni prima della prima edizione di Ironman Emilia Romagna nel settembre del 2017. Al termine di quest’ultimo tratto di pianura inizia la salita a Bertinoro.

Sono solo 2.3km, per una ascesa totale di 150mt. Davvero numeri molto contenuti, ma che non devono ingannare e non devono essere sottovalutati. Per quale motivo? Innanzitutto, dopo aver pedalato a ritmo costante e regolare per 40km in totale assenza di dislivello, la gamba si ritrova all’improvviso a spingere su una pendenza dell’8-10% per un primo strappetto di circa 300-400m. Dopo questo prima parte la strada si addolcisce leggermente tornando a pendenze più pedalabili (indicativamente siamo al 4-6%) fino al bivio con Via Badia. Da qui parte lo strappo più duro di tutto il percorso con l’ultimo km da più del 10% di pendenza media e punte del 14%.

Insomma, ribadiamo che la salita dell’Ironman Emilia Romagna è molto breve e con un dislivello complessivo non proibitivo, ma che non deve essere sottovalutata perchè specialmente al secondo giro (per gli atleti dell’Ironman) si farà sentire. Se poi ci si mette il vento che, quasi costantemente, nella seconda parte della mattinata soffia dal mare verso l’entroterra rendendo difficoltosi gli ultimi 30-40km di frazione bike, il quadro è completo.

La frazione podistica – Cervia e Milano Marittima

Sono 4 giri da 10km per la versione Ironman, 2 giri da 10km per la nuova versione 70.3 del 2019. Fra le edizioni 2017 e 2018 ci sono state alcune variazioni che tuttavia hanno a mio avviso lasciato inalterata la spettacolarità e la bellezza di questa frazione.

Il tracciato è completamente pianeggiante e sicuramente non noioso. Sono assenti i lunghi rettilinei tipici di Nizza e Lanzarote che mettono duramente alla prova anche la tenuta mentale degli atleti. Si attraversano le zone principali del comune di Cervia: ovviamente il lungomare, ma anche il centro storico di Cervia, la banchina del porto cittadino, il centro di Milano Marittima con i suoi famosi negozi e i suoi locali notturni.

Nel 2017 c’è stato anche un suggestivo passaggio di circa 1.5km all’interno della pineta di Cervia, che però nel 2018 è stato sostituito dalla zona pedonale di recente costruzione del lungomare di Milano Marittima.

I numeri delle edizioni passate

Nel 2017 gli iscritti alla gara sono stati 2562. Il vincitore è stato il tedesco Andreas Dreitz in 8h01m. Prima delle donne è statala britannica Lucy Gossage in 9h06m. Il più veloce degli italiani è stato Ivan Risti con si classifica al sesto posto in 8h26m.

Numeri abbastanza simili per l’edizione 2018, con 2644 atleti in gara. Il vincitore è stato il tedesco Andi Boecherer che termina in 8h01. Fra le donne ha vinto la connazionale Daniela Saemmler in 9h05m. Il più veloce degli italiani è stato Domenico Passuello con si classifica all’ottavo posto in 8h38m.

Un tema particolarmente interessante quando si parla di Ironman è senza dubbio la caccia alle slot per il campionato del mondo di Kona, Hawaii. Ironman Emilia Romagna mette in palio 40 slot che vengono divise su tutti i vari age group in base al numero di partecipanti in ogni categoria. Per questo motivo le categorie con più slot, ma allo stesso le categorie più competitive, sono le 5 categorie degli uomini dai 30 ai 54 anni, che assegnano da sole circa il 50% delle slot. Tutti i numeri, per ogni categoria, sono consultabili nella parte di risultati e statistiche della gara al link
https://www.raceplan.it/web/analisi_evento.php?cod_evento=4&edizione=2018#5 , ma già qui vi possiamo anticipare che se appartenente alla categoria M35-39, per ambire a una slot Kona (senza passare dalla lotteria del roll-down che è imprevedibile) dovrete completare la gara in circa 9h06m, mentre se avete 40-44 anni il vostro tempo target è intorno alle 9h15m. Insomma… roba per pochi!

Come arrivare a Cervia?

Cervia si può raggiungere comodamente tramite l’autostrada A14 con le uscite consigliate di Cesena (per chi arriva da sud) o di Forli (per chi arriva da nord). Una volta usciti dall’autostrada sono necessari ancora circa 10km (uscendo a Cesena) o 20km (uscendo a Forli) di strada provinciale piuttosto scorrevole. L’aeroporto internazionale più vicino è quello di Bologna, ma a breve riapriranno il traffico aereo civile anche sugli aeroporti di Rimini e di Forli.

Dove dormire?

Sono due le cose che a Cervia non mancano mai: i posti dove dormire e i posti dove mangiare. Generalmente l’atleta si butta subito alla ricerca di soluzioni alberghiere, magari attraverso i soliti siti web come trivago o booking. Ecco: nel caso di Cervia, questa modalità di prenotazione non dico che sia sconsigliata (perchè io stesso proverei in un primo momento a fare cosi, se dovessi andare in località che non conosco), ma quanto meno dovreste tenere in seria considerazione anche la pressochè infinita disponibilità di appartamenti in affitto.

Il lungomare di Cervia è infatti occupato quasi interamente da hotel, alcuni dei quali anche molto belli e ricchi di servizi come piscine, centri benessere, ristoranti, ecc ecc… ma nelle tante viuzze interne, a poche decine o centinaia di metri dal lungomare, sorgono tantissime abitazioni che nella stagione estiva vengono affittate per periodi non inferiori a una settimana, ma che a fine stagione i proprietari si accontentano anche di affittare per 3-4-5 giorni. Questi appartamenti difficilmente li troverete online: forse oggi i figli di qualche proprietario di appartamenti inizia a spingerli sui gruppi fb o su airbnb, ma il proprietario cervese medio (spesso over 60 anni) è ancora oggi abituato a mostare un semplice cartello “affittasi” sulla ringhiera di casa e quindi del tutto invisibile sul web.

Il mio consiglio? Venite a trascorrere un weekend a Cervia: ne approfitterete per fare un bel sopralluogo sui percorsi di gara ma anche per fare una passeggiata all’interno di Cervia alla ricerca di un appartamento logisticamente comodo per i giorni di gara.

Dove mangiare?

Vale più o meno lo stesso discorso fatto prima per il pernottamento: il mangiare a Cervia non rappresenta di certo un problema.

A Cervia, nel raggio di 1000mt dalla zona centrale di gara (spiaggia libera, per intenderci) potrete soddisfare praticamente qualsiasi palato e qualsiasi portafoglio. Si parte, ovviamente, dalla piadina.

La piadina a Cervia è ovunque. Credo che non sia possibile camminare 300mt a Cervia senza incrociare un chiosco di piadina. Costa poco (da 1 euro per una piadina vuota fino a 5 euro circa per una piadina o un crescione farcito) e è buonissima. A parte questo street-food tipicamente romagnolo, a Cervia non mancano pizzerie e ristoranti dove poter assaggiare cucina tipica romagnola sia di carne che di pesce.

Un’altra alternativa è rappresentata dagli stabilimenti balneari. Da pochi anni una ordinanza comunale ha permesso agli stabilimenti balneari, che prima potevano fare solo servizio bar e piccola ristoranzione, di allestire vere e proprie cucine e restare aperti anche oltre l’orario del tramonto. Se volete quindi cenare in spiaggia, a pochi passi dal mare, è quindi possibile farlo.

Mattia Ceccarelli ci racconta il Challenge 70.3 Salou

Mattia Ceccarelli domenica 7 aprile ha partecipato al Challenge Salou, la prima vera gara di apertura della stagione internazionale europea.

Mattia ha chiuso con un ottimo 5° posto assoluto. Il livello della gara era alto: sebbene non ci fossero nomi di spicco, molti atleti avevano puntato a questa gara per accedere e tentare di qualificarsi per la finale mondiale Challenge che si terrà quest’anno in Slovacchia il 2 giugno.

In molti si chiedono come gli atleti professionisti organizzino i loro viaggi e a cosa danno le priorità quanto scelgono una gara. Noi di RacePlan abbiamo avuto la fortuna di chiederlo a Mattia, sperando che i suoi suggerimenti siano di aiuto ad altri che parteciperanno a questa bella gara in terra di Spagna.

Mattia raccontaci di come hai organizzato la tua trasferta e quali sono state le scelte del viaggio?

Sono andato in camper ma con il senno di poi l’aereo era la soluzione migliore: più veloce ed economico. Il viaggio da Forlì in camper dura circa 14 ore, considerando che Salou è 1 ora a sud di Barcellona. Il servizio camper in città è ottimo e ho voluto evitare ogni genere di contrattempi legati allo smontaggio e montaggio della bici e da eventuali problemi legati al bagaglio in aereo. Arrivati a Salou ho notato che i campeggi sono ottimi e veramente molto belli ed attrezzati per cui l’intero soggiorno in città è andato molto bene. Tuttavia se uno prenota con anticipo può tranquillamente andare in aereo fino a Barcellona e poi prendere autobus, treno, macchina che portano direttamente a Salou. Consiglio di alloggiare al Camping la Siesta ( https://www.camping-lasiesta.com/ ) che oltre ad essere il centro nevralgico del race director della gara è super centrale a tutto ciò che sono le esigenze di un atleta che sta per gareggiare.

Come è la location di gara?

Salou è molto bella, sembra di stare nella riviera romagnola. Le spiagge sono molto belle, un bel lungomare con un sacco di ricettività alberghiera e negozi. A due passi da Salou c’è un parco di divertimenti molto grande e con un sacco di attrazioni, adatto alle famiglie con bambini. Ovviamente io ero li per gareggiare e dare il mio massimo, ma in altre occasioni ho avuto modo di frequentare come turista la zona. Il posto insieme agli eventi collaterali alla gara fa si che si possa passare un bel week end non solo dedicato allo sport.

Parliamo della gara. Vedendo i tempi pare sia una gara particolarmente veloce. Raccontaci i dettagli del percorso ?

Quest’anno il mare era piuttosto agitato e l’acqua era fredda. Nelle edizioni precedenti, dato che la gara veniva svolta più avanti nella stagione, era più calma e con temperature più alte. L’edizione 2019 invece è stata molto difficile, sia per la temperatura dell’acqua (che era di circa 15 gradi) sia per il mare mosso. Forse in queste condizioni in Italia ci sarebbe stato il rischio di una riduzione del percorso, ma per fortuna ci hanno fatto gareggiare nella distanza ufficiale.

La gara in generale è velocissima ed è l’ideale se qualcuno vuole ambire ad un best time nella distanza 70.3. La bici è un multilap da 3 giri da 30 km che vengono svolti prevalentemente su una superstrada. Bici da crono assolutamente consigliata perché a parte il vento non c’è dislivello. Il problema che mette più in difficoltà gli atleti è che ad ogni lap ci sono 6 giri di boa che moltiplicati per i 3 lap fanno 18 giri di boa che spezzano completamente il ritmo e si deve faticare non poco per rilanciare la velocità. Altro problema e che purtroppo la ritengo una pecca di tutti i multilap è il fatto che nel percorso si trovano i doppiati già dal secondo giro di bici,  per cui oltre al fenomeno delle scie diventa anche pericoloso superare altri atleti perché la carreggiata su cui si viaggia è su una sola corsia e paradossalmente troppa gente sul percorso rischia di causare ulteriori rallentamenti e possibili rischi per gli atleti. Il vento è una presenza costante durante tutte e 3 le frazioni. Purtroppo il no draft fra gli age group non è rispettato: più di 1000 atleti in un percorso da 30 km fa si che sia quasi impossibile tenere la distanza regolamentare. Per noi PRO, al contrario, la continua presenza di moto e di giudici rende la gara dal punto di vista della scia più rispettosa e regolare.

La corsa è disposta su 4 giri, tutta sul lungomare su un tracciato completamente piatto. Clima ottimo per correre. Ok i rifornimenti.

Nel complesso come giudichi la gara?

Tra le varie gare del circuito Challenge il 70.3 Salou è, insieme alla “nostra” Riccione, una delle gare meglio organizzate. Essendo una zona di mare la gara è molto partecipata con un sacco di tifo. Vista la location e la conformazione del territorio è una gara che mi sento di consigliare soprattutto agli atleti che amano i piattoni da poter spingere. Le mie caratteristiche sono altre, ma essendo il primo appuntamento internazionale della stagione avevo bisogno di testare la mia condizione. La stagione 2019 è appena iniziata e spero di darvi presto altre recensioni positive delle mie gare perché noi atleti ci mettiamo la fatica, ma gareggiare in ambiante belli, sicuri e ben organizzati fa piacere e fa si che il livello del triathlon cresca sempre di più.

Quando posso ricominciare a correre?

La domanda più frequente che un fisioterapista si sente rivolgere da un corridore infortunato (e da ogni sportivo in generale) è: “Quando posso ricominciare a correre?

Prendiamo ad esempio una tendinite rotulea che ci ha costretto ad abbandonare la corsa per qualche settimana. Diciamo che dopo tre settimane di riposo e ghiaccio non sentiamo più dolore durante le attività quotidiane, come per esempio salire e scendere le scale. Ci sentiamo pronti per tornare a correre, visto che il dolore non lo sentiamo più. Ci viene voglia di “provare” a correre. Ma dopo appena cinquecento metri, il dolore improvvisamente riappare, tale e quale a tre settimane prima, facendoci cadere nello sconforto più totale. E’ quindi evidente che a volte il semplice non sentire più dolore nella vita normale non è un criterio adeguato per suggerirci di “provare” a correre.

E’ altrettanto chiaro che neanche il termine “provare” è il più corretto in questo caso, in quanto se ci pensiamo bene ha lo stesso significato di “tentare” di correre, allo stesso modo in cui si può “tentare” la fortuna.

E’ vero che è molto difficile individuare dei criteri sicuri per stabilire esattamente quando è arrivato il momento di riprendere, ma riprogrammare nel modo migliore questo momento è fondamentale per non avere ricadute.

Dopo un infortunio che ci ha tenuto fermi qualche tempo, anche se abbiamo eseguito degli esercizi specifici durante lo stop, il nostro corpo può aver perso l’abitudine al carico della corsa. Per questo motivo uno dei modi di ricreare un adattamento minimizzando le probabilità di infortunarsi nuovamente è quello di fare un breve periodo di alternanza corsa-cammino prima di riprendere gli allenamenti di corsa veri e propri.

Ci sono tante modalità di ripresa: per la sua semplicità uso spesso un programma di corsa-cammino (riportato in fondo all’articolo) che ci permette di arrivare a corrrere 30’ in circa 7 sedute.  Prima di iniziare il programma di cammino-corsa è meglio però che siano sodisfatti i seguenti criteri:

Requisiti per iniziare un programma di cammino-corsa:

1.  Avere chiaro lo stadio del proprio infortunio, in base alla scala di Wilk di cui abbiamo parlato nell’articolo “Posso correre con questo infortunio?“;

2.   Non avere segni e sintomi di infiammazione

Correre con un’infiammazione acuta in atto è il presupposto per il disastro. Non solo questo peggiorerà l’infortunio, ma prolungherà anche i tempi di recupero. Per cui  risolvere l’infiammazione è il primo passo per un ritorno sicuro alla corsa. Abbiamo già visto nel precedente articolo come un’immediata Protezione dell’infortunio tramite il Riposo e l’utilizzo del ghiaccio (Ice), della Compressione ed eventuale Elevazione (protocollo PRICE) faciliterà la risoluzione di edema e infiammazione. Se ciò non bastasse, a volte potrebbe essere utile aggiungere qualche seduta di terapia fisica (come laser Nd-Yag oppure Tecarterapia) per favorire la riduzione dello stato flogistico. Evitate però lunghi cicli di terapie, che, a differenza di quello che si pensava qualche anno fa, spesso non portano a riduzioni significative dei tempi di recupero. Evitate altresì la tentazione di ricorrere a farmaci FANS o infiltrazioni per continuare a correre, per i problemi descritti nell’articolo precedente. Una volta che l’infiammazione si è ridotta, in genere non si è ancora pronti per correre, soprattutto se l’infortunio è stato di una certa importanza.

3.  Aver recuperato completamente flessibilità e articolarità delle strutture nell’arto inferiore

L’infortunio è causato da un eccesso di carico, ma a volte  non è altro che il segno di una (o più di una) disfunzione biomeccanica, che riduce le nostre capacità di carico. Per cui aver risolto l’infiammazione non significa automaticamente aver risolto la causa biomeccanica dell’infortunio eventualmente presente. Siccome la corsa è associata a un certo livello di microtrauma, è facile che si instaurino irrigidimenti dei tessuti molli che tendano a “legare” i vari piani fasciali. Questi possono causare disfunzioni muscolari percepite come rigidità e difficoltà all’allungamento, così come limitare lo scorrimento dei tessuti nervosi dell’arto inferiore. Perciò è importante recuperare la lunghezza e l’elasticità ottimali di alcuni muscoli chiave: quadricipite femorale, glutei, ischiocrurali (i muscoli posteriori della coscia), tensore di fascia lata e tricipite surale (gemelli e soleo). Quindi largo allo stretching e all’automassaggio con pallina da tennis o rullo.

Allo stesso modo vanno recuperati completamente i movimenti articolari. In questo senso tralasciando evidenti blocchi articolari post-traumatici (tipo dopo una distorsione di ginocchio che ci siamo procurati sciando), le limitazioni più frequentemente incontrate nei runner sono: una limitazione della dorsiflessione dell’articolazione dell’alluce (portare il primo dito del piede verso l’alto – è la posizione in cui si trova l’alluce quando ci diamo la spinta con il piede dietro al corpo), una limitazione della dorsiflessione di caviglia (per correre occorrono almeno 30 gradi di dorsiflessione di caviglia– ci serve per portare il baricentro davanti al piede) e una limitazione di estensione di anca (occorrono almeno 20° per avere la possibilità di portare la coscia dietro al sedere senza inarcare la schiena – ci serve per la fase di spinta).

4.   Avere una buona stabilità durante l’appoggio su una gamba sola.

La stabilità durante l’appoggio su una gamba sola è importante nel recupero da un infortunio, in quanto la corsa non è altro che un susseguirsi di bilanciamenti su una gamba sola. La mancanza di questa stabilità è anche una delle disfunzioni più comuni che si riscontrano nei corridori infortunati. Se non c’è stabilità stando in appoggio fermi su una gamba su una superficie piana, come può esserci stabilità dinamica durante la corsa quando ad ogni passo scarichiamo sul piede 3 volte il nostro peso corporeo?

5.  Capacità di eseguire con buon allineamento esercizi eccentrici come gli affondi o lo squat, anche con una gamba sola. 

6.  Essere in grado di camminare per 30 minuti senza problemi o dolore.

Una volta in grado di camminare per 30 minuti senza fastidi, si può iniziare il programma di cammino-corsa.  La fase di corsa del programma va eseguita ad andatura lenta, dai 4:30 ai 6 minuti al kilometro a seconda del proprio livello.

Programma di cammino-corsa

Fase 1 – 5’ di riscaldamento camminando, Corsa 1 minuto – cammino 4 minuti, x 6 volte

Fase 2 – 5’ di riscaldamento camminando, Corsa 2 minuti – cammino 3 minuti, x 6 volte

Fase 3 – 5’ di riscaldamento camminando, Corsa 3 minuti –  cammino 2 minuti, x 6 volte

Fase 4 – 5’ di riscaldamento camminando, Corsa 4 minuti – cammino 1 minuto, x 6 volte

Fase 5 – 5’ di riscaldamento camminando, Corsa 20 minuti.

Fase 6 – 5’ di riscaldamento camminando, Corsa 25 minuti.

Fase 7 – 5’ di riscaldamento camminando, Corsa 30 minuti.

Una volta in grado di completare il programma cammino corsa senza dolore, si è pronti per ricominciare a seguire un normale piano di allenamento.

Nei prossimi articoli cominceremo a vedere alcuni degli esercizi fondamentali per ogni corridore.

Dieta ciclizzata ed endurance

E’ noto che l’atleta di endurance migliora la prestazione nella misura in cui riesce a spostare il metabolismo energetico, a parità di potenza erogata, verso l’utilizzo dei lipidi. E’ importante sottolineare che questo deve avvenire adattando l’organismo ad esprimere una data potenza relativa, che inizialmente poggiava in modo sostanziale sui glucidi, a farlo utilizzando prevalentemente i lipidi. Quindi nella preparazione di un atleta di endurance siamo interessati a massimizzare le scorte di glicogeno e allo stesso tempo ad indurlo ad utilizzarne il meno possibile, cioè provocare degli adattamenti cellulari che utilizzino i lipidi anche ad alte intensità di esercizio.

L’approccio nutrizionale per ottimizzare tale “switch metabolico” è determinante ed i protocolli utilizzati per favorirlo vanno sotto il nome di diete ciclizzate. Nello specifico degli sport di endurance la “ciclizzazione” riguarda i macronutrienti, in particolare i carboidrati. Semplificando il discorso possiamo affermare che ciclizzare i carboidrati significa fornirne quantità variabili in base alla tipologia di allenamento e all’obiettivo metabolico perseguito.

Se facciamo riferimento ad atleti di endurance che gareggiano su distanze relativamente brevi, come triathlon sprint ed olimpico, gli allenamenti possono essere suddivisi in due aree:

  • allenamenti per la potenza aerobica, in cui è importante avere a disposizione glucosio
  • allenamenti per la potenza lipidica, in cui il focus è spostato sull’utilizzo degli acidi grassi e dei corpi chetonici che presumo una bassa disponibilità di glucosio

Una protocollo ciclizzato che sta trovando importanti riscontri è noto come “training low”, che in italiano può essere tradotta come allenamento in deplezione di glicogeno. L’obiettivo di migliorare sia le scorte di glicogeno che l’ossidazione lipidica può essere ottenuto combinando strategicamente l’alimentazione con gli allenamenti (Barlett 2013 et al.).

Uno dei grossi problemi messi in evidenza dalla ricerca (Hulston et al. 2010; Yeo et al. 2008) è la difficoltà di eseguire allenamenti ad elevata intensità associati ad una dieta chetogena a basso contenuto di carboidrati. Un interessante studio pilota eseguito da Lane e collaboratori (2015) ha cercato di capire se fosse possibile periodizzare l’ingestione di carboidrati in base al tipo di allenamento.

Hanno sottoposto un gruppo di ciclisti allenati a due diverse condizioni sperimentali. Nella prima sono stati somministrati 8 grammi di carboidrati per chilogrammo di massa corporea (una quantità enorme!) prima di eseguire un allenamento ad alta intensità affrontato nel tardo pomeriggio, successivamente il gruppo andava a dormire senza mangiare. Al mattino seguente eseguiva un allenamento di 2 ore a bassa intensità a digiuno. La seconda condizione sperimentale prevedeva gli stessi allenamenti ma venivano somministrati solo 4 grammi di carboidrati per chilogrammo di massa corporea prima dell’allenamento pomeridiano e 4 grammi di carboidrati per chilogrammo di massa corporea prima di andare a dormire. Seppur non si è evidenziato un marcato sviluppo dei marcatori della biogenesi mitocondriale, i ricercatori hanno ipotizzato che ci possa essere un adattamento epigenetico nel verso di uno sviluppo del sistema energetico aerobico rilevato dalla metilazione PPARδ, il quale regola il metabolismo muscolare e riprogramma il tipo di fibre muscolari verso le fibre di tipo I ovvero favorevoli all’endurance (Chen et al. 2015; Wang et al. 2005).

L’ipotesi sottesa allo studio di Lane è piaciuta al gruppo di ricerca guidato da Marquet (Marquet et al. 2016) che ha voluto verificarne anche l’incremento in termini di performance. Nel loro studio hanno sottoposto 21 triatleti ben allenati (VO2 max 60.1 ± 6.8 ml.min-1.kg-1 ) ad una ciclizzazione nutrizionale in base alla tipologia di allenamenti da sostenere: sviluppo potenza lipica o sviluppo potenza aerobica.

Il gruppo è stato randomizzato e suddiviso in due sotto-gruppi che seguivano una diversa dieta, ma lo stesso tipo di allenamento. L’intervento si è esteso per 3 settimane. Un gruppo seguiva una strategia denominata “sleep slow” in cui si esegue un allenamento ad alta intensità con le scorte di glicogeno “cariche” a cui seguiva una cena priva di carboidrati. Al mattino seguente il gruppo eseguiva un altro allenamento a bassa intensità a digiuno. Il gruppo di controllo si alimentava normalmente, prima e dopo gli allenamenti, reintegrando quindi i carboidrati a cena. I gruppi sono stati seguiti per 6 settimane, le prime tre di “base line” in cui eseguivano i loro abituali allenamenti (10-15h/settimana suddivise in 40% running, 35% cycling, 25% swimming) con lo scopo di renderli omogenei. Nelle successive 3 settimane lo schema di allenamento era il medesimo e consisteva in 6 allenamenti in 4 giorni consecutivi costituiti da un allenamento ad alta intensità nel pomeriggio ed uno a bassa intensità il giorno seguente. Le sessioni ad alta intensità erano costituite da 8 x 5 min cycling al 85% della massima potenza aerobica (286 ± 26.7 W) o 6×5 minuti running alla velocità corrispondente all’intensità dei 10km con 1’ di recupero.

Il parametro variato sperimentalmente era la dieta, la quale prevedeva lo stesso quantitativo di nutrienti distribuito in modo diverso. Il totale quotidiano di carboidrati ingeriti era il medesimo, 6g per kg di peso corporeo, ma distribuito diversamente in relazione alla tipologia di allenamenti.

Il gruppo sleep slow non riceveva carboidrati dal termine dell’allenamento ad alta intensità pomeridiano fino al termine dell’allenamento a bassa intensità della mattina successiva, inoltre non integrava carboidrati durante gli allenamenti. Al termine dell’allenamento mattutino reintegrava carboidrati fino al successivo allenamento pomeridiano.

Il gruppo di controllo reintegrava dopo ogni allenamento e durante gli allenamenti consumava una bevanda al 6% di carboidrati. Entrambi i gruppi dopo l’allenamento serale consumavano una bevanda iperproteica. Questo regime era osservato per i primi 4 giorni della settimana, mentre nei restanti 3 giorni l’alimentazione era libera. Sono stati effettuati diversi test sub e massimali, ma il più interessante è stato la simulazione di un triathlon olimpico in cui solo il gruppo sleep slow ha migliorato mediamente la frazione finale (10 km di corsa) di ben 73 ± 20 s, un’enormità!

La ciclizzazione di questo protocollo è duplice: verticale nei primi 4 giorni, in cui i carboidrati sono assunti solo dopo l’allenamento mattutino fino a prima dell’allenamento ad alta intensità pomeridiano e orizzontale durante l’arco della settimana, prevedendo 4 giorni ciclizzati e 3 giorni di alimentazione tradizionale. E’ ormai chiaro che la preparazione atletica nelle discipline di endurance deve considerare gli allenamenti in relazione all’effetto sul metabolismo energetico in base alla disponibilità dei substrati prima e dopo la sessione.


Bartlett JD, Louhelainen J, Iqbal Z, Cochran AJ, Gibala MJ, Gregson W, et al. Reduced carbohydrate availability enhances exercise-induced p53 signaling in human skeletal muscle: implications for mitochondrial biogenesis. Am J Physiol Regul Integr Comp Physiol. 2013;304:R450–458.

Chen W, Gao R, Xie X, Zheng Z, Li H, Li S, Dong F, Wang L. A metabolomic study of the PPARδ agonist GW501516 for enhancing running endurance in Kunming mice. Sci Rep. 2015 May 6;5:9884.

Hulston CJ, Venables MC, Mann CH, et al. Training with low muscle glycogen enhances fat metabolism in well-trained cyclists. Med Sci Sports Exerc 2010;42(11):2046–55.

Lane SC, Camera DM, Lassiter DG, et al. Effects of sleeping with reduced carbohydrate availability on acute training responses. J. Appl. Physiol. 2015;jap.00857.2014.

Marquet LA, Brisswalter J, Louis J, Tiollier E, Burke LM, Hawley JA, Hausswirth C. Enhanced Endurance Performance by Periodization of Carbohydrate Intake: “Sleep Low” Strategy. Med Sci Sports Exerc. 2016 Apr;48(4):663-72

Yeo WK, Paton CD, Garnham AP, Burke LM, Carey AL, Hawley JA. Skeletal muscle adaptation and performance responses to once a day versus twice every second day endurance training regimens. J. Appl. Physiol. 2008;105(5):1462–70.

Wang YX, Zhang CL, Yu RT, Cho HK, Nelson MC, Bayuga-Ocampo CR, Ham J, Kang H, Evans RM. Regulation of muscle fiber type and running endurance by PPARδ. PLoS Biol. 2004 Oct;2(10):e294.

Foot Core

Il piede è una delle strutture funzionali più efficienti del corpo umano: ha lo scopo di fornire una solida base di appoggio per la stazione eretta e di esercitare l’azione propulsiva durante per il movimento. L’architettura strutturale che permette queste funzioni è l’arco plantare, una forma che si è sviluppata sotto la pressione evolutiva.

Questa zona è talmente importante (ed aggiungo trascurata) che McKeon e collaboratori l’hanno definita “Foot Core” per evidenziare l’importanza che riveste nel movimento. Stiamo parlando dei muscoli plantari intrinseci del piede, gli stabilizzatori dell’arco plantare. Sono disposti su quattro strati ed hanno origine ed inserzione nel piede, diversamente dai muscoli estrinseci che originano nella gamba.

Durante il movimento questi muscoli controllano il grado e la velocità di deformazione dell’arco plantare. Quanto ipotrofici l’intera stabilità dell’arco plantare è compromessa e di conseguenza la base di appoggio per l’intero corpo diviene instabile.

Aggiungiamo che la maggior parte delle persone ha il core lombo-pelvico indebolito da errati atteggiamenti posturali cronici (come lo stare seduti su una sedia per molte ore al giorno) e capiamo quanto l’assetto posturale ne risenta, aprendo la strada a possibili infortuni.

Il più immediato e comune infortunio causato da un foot core debole è la fascite plantare, così come l’infiammazione al tendine tibiale posteriore ed il dolore cronico alle gambe.

McKeon riprende i concetti alla base del “Core” lombo-pelvico per applicarli alla struttura morfologico-funzionale del piede. La funzionalità dell’arco plantare è garantita dalla interazione tra tre sistemi interdipendenti:

  • sistema passivo composto dalla struttura ossea dai legamenti e dalle capsule articolari,
  • sistema attivo che comprende la muscolatura intrinseca
  • sistema neurale che è  composto dai recettori sensoriali

Il sistema passivo costituisce la struttura su cui si sviluppano le funzioni del piede ed è articolata in quattro archi: mediale longitudinale, laterale longitudinale, anteriore metatarsale trasverso e posteriore metatarsale trasverso. McKenzie propone di interpretare l’insieme di questi archi come una semicupola con emergenti proprietà funzionali che garantiscono flessibilità ed adattamento al carico dinamico tipico del movimento. La flessibilità ed adattamento dell’arco plantare è garantito quindi dalla struttura ossea, dai legamenti e dalle aponeurosi, ma anche i muscoli intrinseci ed estrinseci del piede recitano un ruolo importante (Ridola e Palma 2001).

Il sistema attivo è composto dagli stabilizzatori locali (i muscoli plantari intrinseci) che hanno origine ed inserzione sul piede ed i “global movers” (muscoli estrinseci del piede) che originano nella parte bassa della gamba, attraversano la caviglia e si inseriscono sul piede. I muscoli plantari intrinseci sono costituiti da 4 “strati” di muscoli profondi, i primi due strati allineati longitudinalmente con i rispettivi archi, mentre i due strati più profondi sono allineati con gli archi metatarsali.

Secondo Soysa e collaboratori (2012) i muscoli intrinseci hanno la funzione di supporto dell’arco plantare ed agiscono come modulatori del carico sul piede. I muscoli estrinseci, invece, intervengono sul piede durante l’azione e sono quindi responsabili del movimento. Ad esempio il tricipite della sura (polpaccio) modula, attraverso il tendine di Achille, la tensione dell’aponeurosi plantare, per questo motivo quando aumenta la tensione sul polpaccio aumenta anche sulla fascia plantare, situazione che conoscono i triatleti quando sono vittime dei crampi alla pianta del piede.

Il sistema neurale è costituito dai recettori della fascia plantare, dei legamenti, capsule articolari, muscoli e tendini. Le sensazioni provenienti dai recettori sono fondamentali, insieme a quelle provenienti dai meccanocettori cutanei della pianta, per l’equilibrio ed il movimento (Elise t al. 2002; Kavounoudias et al. 2001; McKeon & Hertel 2007). I muscoli intrinseci durante la loro contrazione forniscono una serie importante di informazioni al sistema nervoso e aspetto molto importante questa comunicazione può essere allenata. Come l’allenamento del core pelvico-lombare esercita la sua influenza sulla biomeccanica del movimento non solo attraverso l’azione muscolare ma anche grazie allo stimolo sul sistema nervoso (Boucher et al 2012) migliorando il controllo motorio, così avviene per quanto riguarda il foot core (McKeon 2015).

Perché si indeboliscono i muscoli intrinseci del piede? Il muscolo è un sistema funzionale, ciò significa che si adatta alle richieste dell’ambiente. L’utilizzo ne favorisce lo sviluppo e la corretta funzione mentre il disuso ne provoca l’atrofia funzionale (condizionando gli schemi motori) e fisiologica come si può constatare con la perdita di massa muscolare in seguito all’immobilizzazione di un arto per un lungo periodo. L’utilizzo delle calzature a suola rigida impedisce il fisiologico movimento dell’arco plantare e di conseguenza l’intervento dei muscoli intrinseci che tendono ad perdere funzione (Robbins e Hanna 1987).

Brüggemann e collaboratori hanno rilevato un aumento della sezione trasversa dei muscoli intrinseci in podisti che passavano da calzature protettive a calzature minimali durante gli allenamenti, dimostrando un incremento della forza di questi muscoli. A questi “effetti” fisiologici vanno aggiunti gli stimoli al sistema nervoso, i feedback inviati dai fusi neuromuscolari siti nei muscoli intrinseci quando il piede si può adattare al terreno scalzi o con scarpe minimali aiutano a sviluppare l’equilibrio (Rose et al 2011; Shinohara & Gribble 2009) rispetto a quando si indossano calzature protettive. A questa funzione contribuiscono le sensazioni dei recettori cutanei plantari (Meyer et al. 2004).

Cosa fare quindi per “allenare” i piedi ed evitare gli infortuni? Il primo intervento è sicuramente quello di liberare il piede dalla gabbia di scarpe troppo rigide che non permettono il movimento del piede e sorreggono artificialmente l’arco longitudinale. Uno studio recente (Ridge et al. 2019) mostra come utilizzare scarpe minimal durante il giorno abbia un concreto effetto nello sviluppo della muscolatura del foot core. Quando possibile, ad esempio a casa, camminare scalzi. A questo si possono affiancare degli esercizi specifici. L’esercizio più efficace è quello di mettere un fazzoletto atterra, posare il piede sopra e cercare di accartocciarlo n modo creando una cupola sull’arco plantare come in figura. Un secondo esercizio consiste nel distribuire dei sassi di varie misure sul pavimento e raccoglierli con i piedi nudi. Altri esercizi molto utili si possono visualizzare al seguente link (http://pilates-pro.com/pilates-pro/2009/3/24/pilates-for-feet.html)


Boucher JA, Abboud J, Descarreaux M. The influence of acute back muscle fatigue and fatigue recovery on trunk sensorimotor control. J Manipulative Physiol Ther 2012;35:6628.

Brüggemann G, Potthast W, Braunstein B, et al. Effect of increased mechanical stimuli on foot muscles functional capacity. American Society of Biomechanics Annual Meeting. Cleveland, OH, 2005

Eils E, Nolte S, Tewes M, et al Modified pressure distribution patterns in walking following reduction of plantar sensation. J Biomech 2002;35:130713

Kavounoudias A, Roll R, Roll JP. Foot sole and ankle muscle inputs contribute jointly to human erect posture regulation. J Physiol 2001;532:86978.

McKeon PO, Hertel J, Bramble D, Davis I. The foot core system: a new paradigm for understanding intrinsic foot muscle function. Br J Sports Med. 2015 Mar;49(5):290

McKeon PO, Hertel J. Diminished plantar cutaneous sensation and postural control. Percept Motor Skills 2007;104:5666.

McKenzie J The foot as a half-dome. Br Med J 1955;1:1068–9. [FREE Full text]

Meyer PF, Oddsson LI, De Luca CJ. The role of plantar cutaneous sensation in unperturbed stance. Exp Brain Res 2004;156:50512.

Ridola C, Palma A Functional anatomy and imaging of the foot. Ital J Anat Embryol 2001;106:8598

Ridge ST, Olsen MT, et al. Walking in Minimalist Shoes Is Effective for Strengthening Foot Muscles. Med Sci Sports Exerc. 2019 Jan;51(1):104-113

Robbins SE, Hanna AM Running-related injury prevention through barefoot adaptations. Med Sci Sports Exerc 1987;19:14856

Rose W, Bowser B, McGrath R, et al. Effect of footwear on balance. American Society of Biomechanics Annual Meeting. Long Beach, CA, 2011

Shinohara J, Gribble P. Five-toed socks decrease static postural control among healthy individuals as measured with time-to-boundary analysis. 2009 American Society of Biomechanics Annual Meeting. State College, PA, 2009.

Soysa A, Hiller C, Refshauge K, et al. Importance and challenges of measuring intrinsic foot muscle strength. J Foot Ankle Res 2012;5:29

Densità dell’allenamento

Il concetto di densità dell’allenamento è uno dei temi spesso frainteso da atleti ed allenatori. Cerchiamo di capire cos’è e come va utilizzato nell’impostazione degli allenamenti.

Possiamo definire la densità come la “quantità di stimolo allenante esercitato in un determinato tempo sull’organismo”. Consideriamo come esempio un allenamento costituito da 6 ripetute da 600m corse a ritmo VO2max con un recupero di 2 minuti. Lo stesso allenamento riducendo il tempo di recupero a un minuto e mezzo aumenta la densità dell’allenamento poiché lo stesso stimolo è concentrato in un tempo inferiore avendo ridotto il recupero. Inutile dire che il secondo allenamento sarà notevolmente più difficile da eseguire rispetto al primo.

I parametri che entrano in gioco nella costruzione di un allenamento sono la durata e l’intensità dello stimolo. Ridurre il tempo di recupero a parità di tutti gli altri parametri, infatti, rende l’allenamento più “denso” perché lo stesso carico si sviluppa in un tempo inferiore.

La massima densità si ottiene con un allenamento continuato. Tuttavia, come detto, il parametro che determina lo stress esercitato è sempre l’intensità: fare 40’ di corsa a fondo lento è un allenamento poco denso perché l’intensità è bassa.

A cosa serve quindi “manipolare” l’intensità? Capire questo aspetto è determinante per poter programmare allenamenti che progressivamente portano l’atleta a migliorare la prestazione. Gli allenamenti frazionati sono nati per riuscire a cumulare un volume di stimolo allenante che sarebbe troppo stressante o non possibile con un allenamento continuato.

Restando sull’esempio degli allenamenti volti al miglioramento del VO2max sappiamo che, per la maggior parte degli atleti di medio livello, l’intensità corrispondente al massimo consumo di ossigeno è mantenibile per circa 6-8 minuti. Se un atleta dovesse eseguire solo due prove da 6 minuti a VO2max avrebbe notevoli problemi sia metabolici che motivazionali. Se però l’allenamento viene frazionato in 8 ripetute da 600m con recupero 2 minuti e un ipotetico atleta li corre all’intensità di VO2max a 2 minuti e 15 secondi otterrò un volume corso all’intensità target pari a 18 minuti.

La manipolazione della densità è fondamentale per stabilire la corretta durata del recupero ed il miglioramento della prestazione nel tempo. Molto spesso gli atleti osservano dei recuperi troppo brevi o corrono ad intensità troppo elevata finendo inevitabilmente per rallentare nella parte finale (spesso già poco dopo l’inizio) dell’allenamento. Questo comportamento compromette l’esito dell’allenamento poiché lo stimolo diviene troppo basso per l’obiettivo prefissato.

L’intervento sulla densità permette anche di impostare gli allenamenti sul passo gara riducendo progressivamente i recuperi e aumentando la parte attiva per sviluppare l’ipotetico passo gara.

In conclusione possiamo ritenere la densità un parametro spesso poco considerato ma che al contrario permette di modulare correttamente gli allenamenti e controllare lo sviluppo della prestazione.

Cadenza di pedalata

La cadenza di pedalata è uno degli argomenti “cool” quando si parla di ciclismo e triathlon. E’ uno di quei casi in cui la ricerca scientifica giunge a delle conclusioni mentre nella pratica agonistica di alto livello ci si comporta in modo totalmente opposto. Nella gran parte degli studi effettuati, infatti, si rileva che la cadenza ideale dovrebbe essere tra le 60-80 rpm, mentre i ciclisti ed i triatleti (specialmente sulle distanze brevi) si assestano attorno alle 90-100 rpm. Uno dei grossi problemi degli studi fatti in laboratorio è relativo al protocollo utilizzato che, molto spesso, non riesce a riprodurre le condizioni di gara e quindi i risultati devono essere intelligentemente valutati e adattati nella pratica. Il problema delle rpm ha una certa rilevanza in particolare sulle lunghe distanze, come l’Ironman ed il mezzo Ironman, in cui il principale fattore limitante è la disponibilità delle scorte energetiche e la conseguente gestione durante lo split di ciclismo. L’analisi dei tracciati di gara su distanza Ironoman (180km a cronometro) degli atleti di vertice sembra confermare la tendenza a mantenere una cadenza superiore a quella consigliata. Michael Weiss all’IM di Cozumel 2015 ha chiuso lo split di ciclismo in 4h e 20 minuti con una potenza media di 311 Watt e una velocità media di 41,5 Km/h. La cadenza media è stata di 88-90 rpm. Luke McKenzie al mondiale di Kona 2013 ha mantenuto una cadenza pari a 93 rpm con una potenza media di 281 Watt ed un tempo pari a 4:21:27. Frederik Van Lierde al mondiale di Kona 2014 ha tenuto una potenza media pari a 310 Watt e una velocità media di 39,4 Km/h. La cadenza è stata di 92 rpm. Nella stessa gara Crowie Alexander ha mantenuto una cadenza media di ben 94 rpm. Questi valori sono ben lontani da quelli che i fisiologi dell’esercizio consigliano. In diversi studi è stata analizzata la cadenza di pedalata in rapporto al costo energetico e alla prestazione nella successiva frazione di corsa (Brisswalter et al. 2000; McCole et al. 1990; Bernard et al. 2003; Gottschall e Palmer, 2002; Vercruyssen et al. 2002; Vercruyssen et al. 2005). Ciò che emerge da queste ricerche suggerisce che, la cadenza ottimale da mantenere per effettuare una buona prova di corsa si dovrebbe assestare tra le 60-80 rpm, specialmente negli ultimi chilometri della frazione di ciclismo. Le rpm sono direttamente correlate al consumo di ossigeno: a un più alto regime di pedalata corrisponde un più alto consumo di ossigeno e quindi un maggior costo e spesa energetici.

Jacobs e collaboratori (2013) hanno effettuato dei test per rilevare quale tra tre diverse cadenze (60, 80 e 100 rpm) avesse un effetto fisiologico più vantaggioso in ciclisti e triatleti amatori. Sono state misurate l’ossigenazione tissutale, la produzione di lattato, il costo energetico, la RPE e la frequenza cardiaca. Tutti i parametri rilevati mostravano un andamento vantaggioso crescente al decrescere della cadenza. In un studio Foss e Hallen (2005) hanno fatto eseguire a 41 ciclisti Elite 5 prove a cronometro di 30’ al massimo delle loro capacità con diverse cadenze (60, 80, 100, 120 e libera). E’ stato misurato il consumo di ossigeno continuativamente e la concentrazione di lattato ogni 5’. L’analisi dei dati mostra che i ciclisti elite, a dispetto del maggiore consumo energetico, impegno fisiologico e costo energetico, si esprimono meglio alla cadenza liberamente scelta (superiore a quella energeticamente ottimale). Questo fa pensare che il fattore allenamento ed abitudine, oltre al volume di allenamento, incidano in maniera significativa sugli adattamenti e la performance a dispetto del teorico vantaggio che si avrebbe riducendo la cadenza. Una ricerca (Hansen 2008) sulla cadenza di pedalata liberamente scelta, conclude che il ritmo personale è innato e determinato da un generatore di pattern presente nel cervello, quindi pedalare ad una cadenza non “naturale” potrebbe rivelarsi controproducente a livello del “firing” neuronale, in pratica ci sarebbe un livello ottimale di attivazione neuronale che attiva i motoneuroni. Non è chiaro se il setting del generatore di pattern motorio sia modificabile con l’allenamento o meno. A rendere ancora più incerto l’argomento c’è uno studio di Lepers e collaboratori (2001) eseguito su triatleti allenati sottoposti a prove di 30’ a cronometro all’80% della massima potenza aerobica in tre differenti situazioni: cadenza libera (86+-3 rpm) cadenza libera -20% (69+-3 rpm) e cadenza libera +20% (103+-5 rpm). Nello studio si conclude che gli atleti sono in grado di adattarsi alla variazione di rpm senza subire grosse perturbazioni su VO2max e frequenza cardiaca. Una possibile spiegazione di un comportamento così variabile è stata avanzata da Vercruyssen e Brisswalter (2010) i quali hanno cercato di stabilire cosa determina la cadenza liberamente scelta dagli atleti (freely chosen cadence o FCC). Nelle distanze relativamente brevi si tende a pedalare ad una cadenza molto più alta rispetto alla “energetically optimal cadence (EOC)” la cadenza che minimizza il costo energetico, mentre quando la distanza aumenta gli atleti endurance (triatleti in particolare) tendono ad adottare un ritmo vicino alla EOC.

La cadenza di pedalata è uno degli argomenti “cool” quando si parla di ciclismo e triathlon. E’ uno di quei casi in cui la ricerca scientifica giunge a delle conclusioni mentre nella pratica agonistica di alto livello ci si comporta in modo totalmente opposto. Nella gran parte degli studi effettuati, infatti, si rileva che la cadenza ideale dovrebbe essere tra le 60-80 rpm, mentre i ciclisti ed i triatleti (specialmente sulle distanze brevi) si assestano attorno alle 90-100 rpm. Uno dei grossi problemi degli studi fatti in laboratorio è relativo al protocollo utilizzato che, molto spesso, non riesce a riprodurre le condizioni di gara e quindi i risultati devono essere intelligentemente valutati e adattati nella pratica. Il problema delle rpm ha una certa rilevanza in particolare sulle lunghe distanze, come l’Ironman ed il mezzo Ironman, in cui il principale fattore limitante è la disponibilità delle scorte energetiche e la conseguente gestione durante lo split di ciclismo. L’analisi dei tracciati di gara su distanza Ironoman (180km a cronometro) degli atleti di vertice sembra confermare la tendenza a mantenere una cadenza superiore a quella consigliata. Michael Weiss all’IM di Cozumel 2015 ha chiuso lo split di ciclismo in 4h e 20 minuti con una potenza media di 311 Watt e una velocità media di 41,5 Km/h. La cadenza media è stata di 88-90 rpm. Luke McKenzie al mondiale di Kona 2013 ha mantenuto una cadenza pari a 93 rpm con una potenza media di 281 Watt ed un tempo pari a 4:21:27. Frederik Van Lierde al mondiale di Kona 2014 ha tenuto una potenza media pari a 310 Watt e una velocità media di 39,4 Km/h. La cadenza è stata di 92 rpm. Nella stessa gara Crowie Alexander ha mantenuto una cadenza media di ben 94 rpm. Questi valori sono ben lontani da quelli che i fisiologi dell’esercizio consigliano. In diversi studi è stata analizzata la cadenza di pedalata in rapporto al costo energetico e alla prestazione nella successiva frazione di corsa (Brisswalter et al. 2000; McCole et al. 1990; Bernard et al. 2003; Gottschall e Palmer, 2002; Vercruyssen et al. 2002; Vercruyssen et al. 2005). Ciò che emerge da queste ricerche suggerisce che, la cadenza ottimale da mantenere per effettuare una buona prova di corsa si dovrebbe assestare tra le 60-80 rpm, specialmente negli ultimi chilometri della frazione di ciclismo. Le rpm sono direttamente correlate al consumo di ossigeno: a un più alto regime di pedalata corrisponde un più alto consumo di ossigeno e quindi un maggior costo e spesa energetici.

Il problema è che la realtà del ciclismo smentisce questa ipotesi poiché nei grandi giri la cadenza media è molto più alta rispetto alla EOC. Un parametro che tutti gli studi citati non considerano è il “fattore gruppo” e l’effetto scia da esso determinato. Basti pensare che pedalando a 46 km/h ben il 91% del VO2max è utilizzato per vincere la resistenza dell’aria (Zamparo). L’effetto della resistenza dell’aria, “wind drag” si riduce del 44% dietro ad un ciclista alla distanza di 0,2m. In un gruppo molto numeroso si presume che la riduzione sia ancora più consistente. E’ quindi possibile che nel ciclismo l’adozione di una cadenza di pedalata che si discosta molto dall’EOC sia ampiamente compensata da questi fattori? La ricerca non ha fatto studi specifici e quindi rimane una domanda aperta. Charles e collaboratori (2014) hanno condotto uno studio interessante la cui particolarità risiede nella durata delle prove (superiore alle tre ore) che riproduceva la variabilità di intensità tipica di una gara ciclistica. Purtroppo anche in questo caso si è trascurato il fattore che, a mio parere, può giustificare il fatto che ciclisti molto allenati hanno la tendenza a mantenere una cadenza superiore alla EOC. Gli atleti reclutati erano ciclisti di buon livello che si allenavano circa 15 ore a settimana. I ciclisti, dopo la rilevazione dei parametri fisiologici, sostenevano due prove da 190 minuti separate da 48h di recupero, una ad 80 rpm e l’altra a 100rpm. La simulazione delle condizioni di gara era fatta inserendo nella prova delle variazioni d’intensità. Inizialmente pedalavano ad un’intensità pari al 65% del VO2max per 30 minuti. Successivamente eseguivano 4 volte 40 minuti suddivisi in 12’ all’ 80% del VO2max, 8 minuti al 65% del VO2max, 10 minuti al 50% del VO2max e 10 minuti al 65% del VO2max. Al termine della prova gli atleti erano sottoposti ad un test per la valutazione della potenza di picco (Peak power Test). I risultati mostrano che la potenza di picco ad 80 rpm è superiore del 9,7% rispetto a 100 rpm. La concentrazione di lattato è superiore del 18,8% a 100 rpm rispetto ad 80 rpm. La spesa energetica totale della prova a 100 rpm è maggiore del 6% rispetto a 80 rpm. Concludendo si può rilevare che i ricercatori indicano una cadenza ottimale attorno alle 80 rpm per una prova in cui il “fattore gruppo” e scia non compaiono, come può essere la frazione ciclistica di un Ironman. Una conferma pratica alla teoria arriva da Christoph Strasser, attuale detentore del record del mondo della 24 ore di ciclismo, che ha percorso 896 km alla stratosferica media di 37,34 km/h. La cadenza di Christoph è stata di 79,6 rpm!


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